Cerveteri
Una Cerveteri immobile e miope
Gianluca Paolacci: un’analisi lucida sulla condizione della città cerite
Gianluca Paolacci: un’analisi lucida sulla condizione della città cerite
Si è recentemente conclusa la tradizionale Sagra dell’Uva a Cerveteri, un appuntamento che, ancora una volta, ha richiamato in città un buon numero di persone, sia residenti che visitatori occasionali. La cosa che dovrebbe più far riflettere è che questo weekend, che dovrebbe essere percepito come un momento ordinario di una città come la nostra, sia vissuto come un momento eccezionale, unico. Una festa riuscita, senza dubbio, grazie all’impegno soprattutto dei Rioni, impegno che conferma il desiderio della nostra comunità di ritrovarsi, celebrare le proprie radici e godere di momenti di socialità.
Eppure, se vogliamo essere sinceri, non basta. Cerveteri è una delle città più storiche del Lazio e dell’Italia intera, non può basare la sua attrattiva su una sagra, un evento spot che non ha né seguito né programmazione. Una manifestazione del genere non può ridursi a un evento isolato, fine a se stesso, ma deve diventare il punto di partenza per una strategia di valorizzazione turistica ed economica che duri nel tempo. La Sagra dovrebbe essere un volano, un marchio riconoscibile, capace di generare ricadute reali su commercio, ristorazione, artigianato e filiere produttive locali. Invece ogni anno ci ritroviamo a celebrare per quattro giorni e a spegnere le luci subito dopo, tornando a un grigiore che dura per gli altri 361 giorni.
Questo è il vero limite della nostra città: un immobilismo amministrativo che soffoca Cerveteri da troppo tempo. Una città che vive di episodi, di slanci momentanei, senza mai riuscire a trasformare le proprie potenzialità in opportunità concrete. Non si governa stando “alla finestra”, in attesa che le cose accadano. Si governa prendendo iniziativa, pianificando, investendo. Bisogna affrontare l’impegno politico con un’altra visione: lavorare per un bilancio sano e progettare una serie di interventi urbanistici, strutturali e turistici volti a rilanciare l’immagine di una città percepita all’esterno come spenta e intristita.
Basta guardarsi intorno: da oltre vent’anni non vediamo un cantiere significativo per opere pubbliche o riqualificazione urbana. L’edilizia è ferma agli anni Ottanta, l’agricoltura – un tempo eccellenza assoluta del nostro territorio – è stata penalizzata da politiche sbagliate e da atteggiamenti miopi, mentre il commercio locale vive un declino costante. Eppure, nonostante queste evidenze, chi amministra continua a lodarsi e incensarsi, in un esercizio di autocompiacimento distante anni luce dalla realtà. Aggiudicarsi i fondi per costruire un Palazzo dello Sport è un risultato eccezionale per la città, ma adesso bisogna avere la capacità non solo di metterlo in piedi, ma anche di organizzare un progetto che faccia di questo palazzo un’opportunità. Solo allora si può parlare di visione.
Il vero dramma è che Cerveteri possiede tutte le carte in regola per essere protagonista: un patrimonio storico e culturale unico, riconosciuto dall’UNESCO, un paesaggio naturale straordinario, una tradizione agricola che meriterebbe ben altro sostegno e valorizzazione. E invece la città resta ferma, incapace di trasformare la sua bellezza in motore di sviluppo, prigioniera di un’amministrazione che non riesce – o non vuole – imprimere una direzione chiara. Cerveteri ha bisogno di un cambio di marcia immediato. Serve un progetto di marketing territoriale serio, che sappia collocare la città nel panorama turistico nazionale e internazionale, che dia nuova linfa al commercio, che rimetta in moto l’edilizia con interventi di rigenerazione urbana, che restituisca dignità e futuro alla nostra agricoltura. Non bastano le feste, non bastano le foto di rito, non bastano le parole vuote.
Questa amministrazione è giunta a un punto di non ritorno. Non si può più vivere di rendita o di ricordi: Cerveteri va liberata da questo immobilismo e rilanciata con coraggio, idee e concretezza. È il momento di guardare avanti e restituire alla nostra città il posto che merita, all’altezza della sua storia e del suo nome.
CONSIGLIERE COMUNE DI CERVETERI
GIANLUCA PAOLACCI
L’altra visione del nostro territorio
A Cerveteri si consuma un paradosso. La sindaca Elena Gubetti – chiamata dalla minoranza a rendere conto della propria azione amministrativa – sceglie di rimanere appiccicata al ruolo politico come se fosse un salvagente, nonostante sia evidente che la fiducia verso il suo operato sia seriamente compromessa.
La mozione di sfiducia nei suoi confronti è stata presentata con chiarezza: tra i motivi, la gestione definita “opaca e discutibile” delle risorse pubbliche, i ritardi sistematici nei lavori, l’esclusione di componenti dell’amministrazione dalle commissioni e la mancata condivisione degli indirizzi con la maggioranza.
Eppure Gubetti non accenna a mollare. Non solo non si dimette, ma rimane aggrappata – con le unghie e con i denti – al suo incarico come se fosse l’ultima trincea.
Perché restare ad ogni costo alimenta la delegittimazione della figura istituzionale: la sindaca diventa simbolo di resistenza al cambiamento anziché promotrice.

Se governare significa servire la comunità, in questo caso appare evidente che l’atto più coerente sarebbe un passo indietro. Restare così, nel pieno della bufera, manda un messaggio pericoloso: che la carica politica sia più importante dell’interesse pubblico. Perché quando la fiducia – base stessa del mandato – vacilla, insistere a restare diventa un atto di arroganza, non di servizio.
Le motivazioni della mozione parlano chiaro: paralisi nella realizzazione delle opere pubbliche, carenza di progetti che portino sviluppo, gestione delle risorse poco trasparente.
Invece di affrontare queste criticità guardando avanti, l’amministrazione si cristallizza in una logica autoreferenziale: la sindaca resta, i problemi restano. È il segnale che il “governo della città” è diventato “mantenimento del potere”.
Una comunità che attende risposte, che ha diritto a concretezza, vede invece un’amministrazione che appare più impegnata a non cedere che a progredire.
Perché governare significa avere mandato chiaro, sostegno politico e fiducia sociale: quando nessuna delle tre è più reale, la continuità diventa insostenibile.
Perché scegliere di andarsene, non perché sconfitta, ma perché il contesto richiede una nuova fase, sarebbe un gesto di responsabilità.
Perché la città merita un’amministrazione focalizzata sul futuro, non su rimanere in sella fino a logorarsi.
Elena Gubetti ha ancora la carica, ma non pare avere più la condizione politica per esercitarla con efficacia. Il persistere al suo posto appare meno come scelta di servizio e più come atto di tenacia personale. Ma la politica non è (o non dovrebbe essere) questione di affezione alla poltrona: è chiamata a fare, cambiare, avanzare.
Cerveteri – vale la pena ribadirlo – merita un cambio di passo, i suoi cittadini meritano un’Amministrazione trasparente, attenta alle necessità della comunità e non alle proprie; capace di guardare ai prossimi dieci, vent’anni. Ed è evidente che l’Amministrazione barcollante di Gubetti non è assolutamente in condizione di farlo.
Per queste ragioni, è giunto il momento che la sindaca prenda atto della situazione e sua sponte rassegni le dimissioni. Senza la necessità di un formale voto di sfiducia, perché la sfiducia della città nei suoi confronti è ormai conclamata. A Cerveteri si sta rasentando il ridicolo, è ora di staccare la spina. Cara Gubetti, se davvero ami Cerveteri lascia adesso. Fallo quanto prima, se ancora ti rimane un briciolo di dignità.
Poi potrebbe essere troppo tardi.

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